Federico Pistono

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🚀 Startup, crescita, exit: come si diventa un Angel Investor

Le startup. Il nuovo modo di fare business. La cosa più trendy del momento, il futuro! A sentire i giornalisti e i post sui social, sembra che oggi tutti vogliano creare startup, o siano in procinto di farlo.

Eppure fino a poco tempo fa, per molte persone in Italia, le startup erano poco più di un’idea molto vaga, e la Silicon Valley un miraggio lontano.

Il mito della Silicon Valley

Con il tempo, le storie dei due “ragazzini in un garage” che nel giro di pochi anni creano un’azienda miliardaria e cambiano il mondo hanno iniziato ad arrivare anche nel Belpaese, e con esse anche la voglia irrefrenabile di partecipare a questa nuova corsa all’oro.

Ricordo ancora quando ne sentii parlare per la prima volta. Era più di dieci anni fa, lavoravo come programmatore per un’azienda in provincia di Verona, dove mi stavo laureando in informatica.

Usavamo Drupal, un software open source scritto da un ragazzo belga. Quando Dries Buytaert ne rilasciò la versione 4.0, Drupal era poco più di un hobby. Cinque anni dopo era il CMS più utilizzato al mondo. Oltre il 10% di tutto il Web usava una versione di Drupal.

Un giorno leggo che Acquia, l’azienda dietro Drupal, aveva raccolto tre milioni di euro in “Serie A”. Alzo lo sguardo verso il mio collega e gli chiedo “Ma che cavolo vuol dire?”, come risposta ricevo un mugugno che sembrava un gigantesco punto di domanda che aveva stampato in faccia.

Mi alzo, vado dal mio capo e chiedo a lui. “Eh guarda, questo è proprio un mondo che non conosco”, mi dice.

“Ma se volessimo potremmo farlo anche noi? Così finalmente finanziamo i nostri progetti, quelli che abbiamo nel cassetto da mesi, invece che stare sempre a galla e a rispondere solo alle richieste immediate dei clienti?”

“Guarda, l’unico modo che conosco è chiedere un finanziamento alle banche, ed è meglio che lasciamo stare.”

In effetti il mio capo non aveva tutti i torti. Per una piccola-media impresa della bassa veronese, nel 2006 le opzioni erano molto limitate.

Ho cercato online, ma le informazioni a riguardo erano quasi inesistenti e i libri pubblicati sul tema erano pochissimi. Così sono rimasto a sognare e a indovinare cosa questi termini astrusi significassero, come facessero queste aziende a raccogliere milioni su milioni, da chi, e cosa dovessero dare in cambio.

Silicon Valley per me rimaneva un mistero.

Oggi le cose sono cambiate. Ci sono centinaia di acceleratori di impresa, il gergo startup si infiltra nei giornali, nei film e nel parlato comune. Esistono Wikipedia, startup classes, libri e articoli sui media che documentano giorno dopo giorno cosa sia la vita delle startup. Per chi lavora nel settore, per chi ci è dentro, queste parole vengono assorbite, assimilate e vissute in prima persona.

Quando poi però esco dalla mia bolla e parlo con persone “normali”, mi rendo conto che c’è una confusione pressoché infinita e che quasi nessuno ha la minima idea di come funzionino veramente le cose.

Mi ricorda un po’ vent’anni fa, quando certi film imbarazzanti avevano quelle scene dove un nerd dai capelli unti e gli occhiali spessi come il vetro di un acquario, di fronte a uno schermo pieno di animazioni 3D e rumori fantascientifici, batte furiosamente tasti a caso sulla tastiera, sparando una super-cazzola alla Amici miei del tipo: “sto bucando il firewall del processore dentro al trojan, ma un malware mi ha attaccato prima che uscissi con il keylogger.”

Oggi guardiamo queste scene su YouTube e ci pieghiamo in due dal ridere, ma una volta, prima che arrivasse Mr. Robot e facesse vedere al grande pubblico cosa significa veramente fare hacking, la gente non di settore le guardava e pensava:

“Chissà che sta succedendo? Boh, non ci capisco niente, però sembra che il tipo sappia il fatto suo”.

Oggi c’è lo stesso alone di mistero e d’ignoranza riguardo le startup.

Le startup sono viste da molti come scatole magiche che mangiano soldi come caramelle, se non fosse che ogni tanto ne viene fuori una che vale miliardi, e nessuno sa spiegare come o perché.

Quante volte avete sentito la favola citata prima dei due “ragazzini” che hanno iniziato a sviluppare un sito nel garage della mamma e dieci anni dopo avevano un’azienda da 50 miliardi? Peccato che queste siano, per l’appunto, favole e che tutto ciò che è importante avvenga nel mezzo, all’interno di quei dieci anni di duro e spesso fastidiosissimo lavoro. Ma questa, a quanto pare, non è una storia molto eccitante, quindi non viene raccontata, e il tutto rimane misterioso.

Io trovo invece che la storia di quei dieci anni oscuri sia incredibilmente interessante, coinvolgente ed eccitante, perché rappresenta quello che succede davvero quando crei un’impresa con un potenziale di crescita vertiginoso (esponenziale), e che solo chi ci passa sopra può capire.

Gli altri, chi guarda alla startup dal di fuori, hanno una visione caricaturale di ciò che succede e si limitano a ripetere formule che leggono su Internet.

Con questo articolo vorrei provare a dare al grande pubblico una visione più chiara di quello che succede dietro le quinte di una startup, i business a crescita esponenziale per eccellenza, partendo dalla mia esperienza personale e cosa mi ha portato a diventare un Angel Investor.

La differenza tra mito e realtà

C’è un detto in Silicon Valley:

Se non hai mai fallito, non hai mai provato a fare nulla di interessante.

Questa è una lezione fondamentale, che solo i veri imprenditori possono comprendere a fondo.

Ma non è una lezione facile.

Per poter scardinare un concetto radicato nella nostra mente fin da piccoli è necessario avere un’esperienza trasformativa.

Questo è molto difficile, perché la consapevolezza arriva solo attraverso un’esperienza diretta, e questa non è possibile riceverla a livello intellettuale.

Molti hanno sentito, almeno una volta nella vita, che in Silicon Valley si “celebra il fallimento tanto quanto il successo”, e magari pensano di aver capito cosa significhi, ma è abbastanza evidente che non sia così.

Chi pensa di averlo capito senza esserci passato sopra personalmente è un po’ come quelli che pensano di sapere cosa significhi andare al fronte perché hanno visto Salvate il soldato Ryan. Oppure un uomo che afferma di capire benissimo cosa vuol dire portare in grembo un bambino per nove mesi perché ha letto un libro sulla gravidanza.

Mi dispiace, ma non è così.

Il cast di Silicon Valley si mette in posa Steve Jobs
Le startup funzionano così, giuro, l’ho visto in TV!

Cosa significa quindi che in Silicon Valley si celebrano i fallimenti tanto quanto i successi?

Significherà mica che i successi non importano e che la gente preferisce fallire?

Certamente no.

Un imprenditore inizia un’attività con l’obiettivo di avere successo. Le startup non fanno eccezione.

La definizione di cosa significhi esattamente un successo è individuale, ma ci sono alcuni risultati su cui la maggior parte di noi sono d’accordo: avere il primo cliente pagante, raggiungere i primi mille utenti (o il primo milione), diventare profittevoli, portare la propria azienda sul mercato azionario (IPO), venderla a qualcuno di più grosso (in gergo, “fare una exit“) o contribuire in modo misurabile a migliorare qualcosa che funziona male nel mondo.

Questi sono tutti traguardi importanti per una startup, o una qualunque attività imprenditoriale.

Come avrete notato, non esiste una metrica singola di successo, ma piuttosto è un continuum di eventi, che vanno a cadenzare la vita quotidiana di un imprenditore.

Brian Chesky, fondatore e CEO di Airbnb, ha dichiarato che una delle cose di cui è più orgoglioso è che, grazie all’azienda e alla comunità che ha creato, potranno ospitare e sostenere la Squadra Olimpica dei rifugiati.

Brian Chesky Twitter What I’m most proud of is that we can support the Refugee Olympic Team
Brian Chesky su Twitter.

Per molti, una IPO o una exit rimangono il sacro Graal degli obiettivi di una startup, e non hanno tutti i torti.

Andare sul mercato pubblico o vendere l’azienda a qualcuno può essere una grande soddisfazione. Chi ce l’ha fatta spesso indossa questo traguardo come una spilla sul petto, e fan bene a farlo.

Una exit o una IPO, però, possono anche essere motivo di grandi rimpianti. Sono molti gli imprenditori che preferirebbero non averlo mai fatto. Alcuni rimpiangono di non avere più il controllo del business, di aver venduto troppo presto, oppure di dover adesso sottostare a regole molto diverse da prima e non essere più liberi di gestire l’azienda come una volta.

In verità, sapere cosa è giusto fare non è cosa facile, e quasi nessuno lo sa a priori.

La realtà è molto più complicata delle storie che leggiamo su internet.

La saggezza di un Imprenditore Esponenziale

Definisco Imprenditore Esponenziale chi usa la mentalità di una startup per creare business che possono crescere velocemente e, potenzialmente, avere un grande impatto.

Che cosa definisce la saggezza di un Imprenditore Esponenziale?

Nell’autunno del 2016 ho avuto una delle esperienze trasformative più importanti della mia vita, che mi ha insegnato proprio questo.

Ero da due anni a capo di una startup chiamata Konoz. Permetteva a chi fa video istruttivi su YouTube di creare una scuola online e ricevere donazioni in cambio di servizi aggiuntivi, come lezioni private e materiale scaricabile.

Avevamo raccolto €250 mila in seed funding, con 40.000 utenti attivi e 3,000 utenti paganti. Stavamo andando bene. Non crescevamo a ritmi pazzeschi, ma stavamo crescendo.

Pensavo di aver già fatto startup in passato, ma con Konoz mi sono reso conto che non avevo ancora idea di cosa stessi facendo. Le startup non sono progetti a cui ti dedichi per un po’ e vedi come vanno. Sono attività che ti assorbono al 100%, sette giorni su sette.

In quasi tre anni a Konoz, ho imparato di più che in tutto il resto della mia vita cosa significa creare un’azienda globale, che deve risolvere un problema per le persone e crescere velocemente.

Abbiamo fatto tanti errori, ci sono stati altrettanti momenti difficili, ma non ci siamo abbattuti. Siamo andati avanti e abbiamo migliorato il prodotto, giorno e notte, con una dedizione che non pensavo fosse possibile.

Da sinistra: Federico Pistono e David Muller, creatore di Veritasium, uno dei canali educational più seguiti al mondo.

Federico Pistono and Derek Muller (Veritasium)

È stata un’esperienza molto stressante e faticosa, ma anche bellissima.

Poi è arrivato l’autunno del 2016. Sono stato colpito da un problema di salute grave, che mi ha immobilizzato per diversi mesi.

Non potevo letteralmente muovermi dal letto e avevo poche ore di lucidità al giorno. Ero il CEO. Non ci è voluto molto per capire che non potevamo andare avanti così.

Dopo qualche confronto, abbiamo deciso a malincuore di chiudere il progetto, con migliaia di utenti attivi e ancora molti soldi sul conto in banca.

Alla notizia che stavamo per chiudere, alcuni buyer si sono presentati a noi, anche grazie al nostro network di investor. Dopo qualche giorno avevamo alcune offerte sul piatto per un’acquisizione, ma le condizioni non erano molto eccitanti. Quasi sicuramente saremmo riusciti a raggiungere un accordo, ma non sarebbe stato facile. Ci aspettavano settimane di negoziazione difficile, in cui avremmo trattato il prezzo, la proprietà intellettuale, il codice sorgente, i dati utenti. Ci aspettavano discussioni con avvocati, clienti, investor. Discussioni difficili ma necessarie per arrivare ad un accordo di exit, che richiedevano tempo ed energia.

Tempo ed energia che io, in quelle condizioni fisiche, non avevo. I miei due co-founders, Sirio e Kris, sono due persone fantastiche, con cui ho anche stretto un’amicizia importante che durerà tutta la vita. Sono due grandi amici e due grandi programmatori, ma non essendosi mai occupati della parte business, non se la sono sentita di prendere in mano le redini della negoziazione.

Federico Pistono, Sirio Marchi, Kris Barnhoorn, Team Konoz a New York

Il team Konoz a New York.

Da sinistra: Kris Barnhoorn (CTO), Federico Pistono (CEO), Sirio Marchi (Lead Developer).

Alla fine abbiamo deciso semplicemente di chiudere. Abbiamo restituito i soldi rimasti agli investitori, ringraziando i migliaia di utenti e creators per l’avventura di quasi tre anni insieme.

Il periodo successivo a questo evento non è stato facile.

Dopo aver aperto tre startup, senza ancora una exit alle spalle, mi sono chiesto se la vita da imprenditore facesse veramente per me.

Nella mia visione iniziale c’era un percorso ben definito: inizi un progetto, crei un team, esci con un prodotto, raccogli fondi, cresci e poi fai una exit.

Quello che non capivo era che questa è una visione molto naif, che hanno solamente le persone che conoscono le startup attraverso le belle storie, ma che non le hanno mai viste da dentro.

Solo chi ci è passato sopra può capirlo.

È vero, non avevo la spilla della exit da poter sfoggiare sul petto, ma avevo guadagnato qualcosa di molto prezioso, che per un imprenditore è inestimabile, e che non mi avrebbe mai potuto togliere nessuno.

L’esperienza con i tre fallimenti passati mi aveva fatto guadagnare la consapevolezza di cosa vuole dire essere un vero imprenditore.

Cosa significa lavorare notte e giorno, anche durante i fine settimana e capodanno. Cosa vuol dire partire da zero e raggiungere decine di migliaia di utenti, capire i loro problemi e risolverli. Cosa vuol dire tenere in piedi i server anche quando ci sono i picchi di traffico e sembra che tutto stia esplodendo. Come gestire il rapporto con gli investor, come motivare il team. Ma, soprattutto, come gestire i momenti di difficoltà e andare avanti.

Tutto questo non puoi impararlo leggendo qualcosa su un libro. Non ti può essere insegnato da nessuno. Lo devi scoprire tu. Lavorando, ogni giorno, con umiltà e dedizione.

Questa consapevolezza mi ha dato la spinta di continuare e non lasciarmi abbattere.

Questa è la saggezza di un Imprenditore Esponenziale.

Imparare dai fallimenti per creare successi

Nei mesi successivi all’autunno 2016, quando la mia salute è iniziata a migliorare, ho ricevuto dei messaggi inaspettati.

Erano proposte di lavoro e collaborazione da grandi aziende, startup e addirittura governi da vari paesi del mondo. Mi chiedevano se ero interessato a lavorare con loro.

Devo essere sincero, questo fatto mi ha lasciato alquanto stupito e un po’ perplesso.

“Ma come?”, mi sono chiesto. “Ma non lo sanno che ho fallito con il mio ultimo progetto?”.

Con uno di questi, Kevin Lyman, ho avuto anche il coraggio di esplicitare il dubbio.

“Quindi hai chiuso la tua startup? E adesso cosa farai?”, mi ha chiesto.

“Non so ancora, qualcosa di diverso”, gli ho risposto.

“Ho avuto un sogno la scorsa notte su di te: diventavi il nostro CTO o direttore dello sviluppo. Cosa ne pensi?”.

Cioè, facciamo chiarezza un attimo. Gli ho appena detto che ho chiuso la mia startup, e la prima cosa che gli viene in mente è quella di offrirmi di diventare CTO della sua azienda?

“Come sai, stiamo diventando sempre di più un’azienda software e abbiamo bisogno di un nuovo CTO. Tu sei la persona perfetta.”

Kevin è fondatore e CEO di MBF, un’azienda di San Francisco che offre servizi di connettività Wireless per aziende. Ha come clienti operatori di telecomunicazioni globali come AT&T, Claro (il più grande in America Latina) e Virgin Mobile.

Ci siamo conosciuti a Santiago, in Cile, dove mi ero trasferito con la mia startup dopo aver vinto 40 mila dollari per partecipare al programma di accelerazione “Startup Chile”.

Ho visto cos’hai creato con Konoz e con il tuo team. Ho visto come lavori. Avete creato un grande prodotto. Se devo essere sincero, un po’ speravo che il tuo progetto fallisse, perché volevo che tu lavorassi insieme a me.

In quel momento ho capito per la prima volta cosa significa che in Silicon Valley si celebrano i fallimenti.

Questo è quello che spesso in Italia ancora non si è capito, e che prima non avevo capito io stesso. I traguardi di un imprenditore non sono misurabili unicamente sulla base di quanti zeri aveva la tua exit.

Il vero traguardo di un imprenditore è la capacità di creare un prodotto che piace e che cresce. Per farlo, è necessario identificare un problema che le persone hanno e creare un team che lo possa risolvere. Significa affrontare difficoltà e migliaia di problemi in modo creativo.

Questo è il vero badge di un imprenditore.

Dopo aver capito questa cosa, tutt’a un tratto, le espressioni da Silicon Valley che avevo sentito in passato hanno assunto un significato molto diverso.

“Non investiamo in founder che non hanno almeno una exit o un fallimento alle spalle.”

Prima pensavo che alcuni investor dicessero questa cosa solo per gentilezza, oppure perché “faceva figo” dire che investono in chi ha fallito.

Non è così.

In Silicon Valley hanno veramente una cultura costruttiva del fallimento, per il semplice motivo che lì la maggior parte delle persone che ha fatto successo sa cosa ci stia dietro.

Non hanno ereditato aziende di famiglia, ma sono partiti da zero.

In Italia buona parte degli imprenditori in realtà non sono imprenditori, ma manager. Fanno parte di aziende di famiglia e hanno ereditato un business già avviato.

Dato questo contesto è comprensibile come nel nostro paese non si voglia celebrare il fallimento. Nella visione comune, se fallisci non significa che hai provato a creare qualcosa di nuovo ed eccitante, ma che sei stato un manager incompetente che non è riuscito a gestire un business che già funzionava.

In realtà, sappiamo bene che non sia sempre così. Ci sono mille motivi per cui uno può far fallire un’azienda già avviata. Una calamità naturale, la scomparsa di un settore, o i cambiamenti rapidi tecnologici che rendono obsoleti interi modelli di business. Quest’ultimo è particolarmente rilevante, tema a cui ho dedicato un intero libro nel 2012, pubblicato in sei lingue.

Come sono diventato un Angel Investor

L’esperienza con Kevin e il team MBF, per metà a San Francisco e metà a Santiago in Cile, mi ha fatto capire molte cose.

Per la prima volta dopo essermi licenziato per iniziare la mia attività, in quello che mi sembrava l’ormai lontano 2011, stavo lavorando ad un progetto che non era il mio.

Non ero più abituato.

Da ormai cinque anni, ogni mattina mi svegliavo pensando solo a una cosa: quali ostacoli devo affrontare per realizzare il mio sogno?

Adesso mi svegliavo con un meeting insieme a Kevin, dove cercavamo di capire le urgenze, i problemi da risolvere, come gestire il team, cosa serviva ai nostri clienti. Era lavoro interessante e stimolante, ma molto diverso.

Con il tempo ho capito che MBF non era il mio futuro e ho deciso di lasciare il ruolo di CTO, ma sono rimasto in ottimi rapporti con Kevin. Mi sento ancora con lui, e ogni volta che torno a San Francisco facciamo una bella sessione di catch-up. Ha apprezzato molto il lavoro svolto insieme, al punto di rendermi membro del board della sua azienda.

Nei mesi successivi, sono arrivate richieste di collaborazioni dai posti più disparati e inaspettati.

Per quasi due mesi ho lavorato insieme all’ufficio del Primo Ministro di Dubai a un progetto su cui avevo dedicato molto impegno. Purtroppo, come spesso accade nei grossi progetti, alla fine non è stato lanciato.

Questa è stata un’altra lezione importante nella mia carriera:

Più alta è la posta in gioco, più alti sono i rischi.

Si tratta di un concetto ben noto a chi si trova a trattare deal da milioni di euro, ma che rimane un mistero totale per chi non ha mai svolto lavori di questo tipo. Ogni tanto ricevo commenti sui miei post con persone che si fanno domande del genere:

“Ma com’è possibile?”, si chiedono. “Come facciamo a sapere che è davvero un Angel Investor?”

Be’, le prove sono facilmente reperibili e a disposizione di tutti.

“OK…ma anche io posso mettere cento euro su mamacrowd e chiamarmi angel investor…perché non ci dice esattamente quanto ha investito?”

No, aspettate, facciamo un attimo chiarezza. Chi mette qualche centinaia di euro su un sito di crowdfunding non è un Angel Investor, tanto quanto uno che ha fatto un corso di due ore sul pronto soccorso non è un medico.

Per essere un Angel, per cominciare, devi far parte di un Syndicate riconosciuto, e devi investire somme che vanno da un minimo di €10k fino a decine o, in certi casi, centinaia di migliaia di euro per singolo investimento.

Ci sono rari casi in cui Angel investono in solitaria, ma è molto raro, perché semplici regole di mercato ti costringerebbero a investire mezzo milione a botta per essere considerato dalla startup. E poi ci sono tanto lavoro e altrettanta preparazione che chi si improvvisa investitore in rete non sa nemmeno di mancare.

“OK…ma perché non ci fa vedere i bilanci della sua azienda?”, dicono altri.

I bilanci delle aziende si sa, sono disponibile in rete, e chi controlla può verificare che la mia azienda ha generato centinaia di migliaia di euro di fatturato.

“OK…ma…ma…come facciamo sapere che veramente ha avuto questi clienti?”, incalzano alcuni.

Ecco delle foto che li mostrano lavorare insieme.

“OK…ma…ma…ma…”

E prima che ne te accorgi, ti chiedono di mostrare loro i contratti firmati, le contabili dei bonifici, quanto hai speso per quella cena del 3 ottobre di tre anni fa, e se l’hai messa in conto aziendale oppure no.

Alcune persone non riescono a capacitarsi come un ragazzo appena trentenne possa investire decine o centinaia di migliaia di euro in startup, attività ad alto rischio con nessuna garanzia di successo.

Chi investe quelle somme deve, per forza, avere ricevuto un’eredità! Oppure un’azienda di famiglia. Oppure è uno di quei geni americani che ha fatto una exit milionaria, ma questo succede solo in America. O magari ha vinto la lotteria. Non è certamente possibile guadagnare quei soldi facendo attività oneste in proprio, partendo da zero!

Certo, per chi non l’ha mai fatto ed è abituato a vivere mese per mese, questo non è possibile. Per loro, “un milione” è un numero sullo schermo di un computer, uno zero in più di centomila e uno meno di dieci milioni, tutto qua. Per un imprenditore, un milione significa giorni e notti di duro lavoro, con nessuna promessa di successo.

Nei tre anni successivi ho continuato a lavorare per grandi aziende, tra cui Lufthansa, Google e la XPRIZE Foundation.

Si trattava di lavoro onesto e profittevole, ma l’amore che avevo per le startup era insostituibile.

Sapevo che, in un modo o nell’altro, volevo tornare ad avere a che fare con il mondo delle startup. Volevo tornare ad essere un Imprenditore Esponenziale.

Memore di quello che era successo in passato, ho avuto la lucidità mentale di non buttarmi subito in un progetto ex-novo, con anni di lavoro insonne e 99% di probabilità di fallimento di fronte a me.

Se in quel momento non avevo più l’energia per lanciare una nuova startup, avevo sicuramente due cose che prima non avevo: la conoscenza di cosa significa passare da zero a uno (o 40.000 utenti) e del capitale per partire.

Ho iniziato a pensare un modo strategico alle due risorse limitate che avevo: il tempo e il capitale che avevo accumulato.

Sul tempo, ho deciso che non avrei accettato più lavori piccoli, sotto una certa cifra per giorno di lavoro. Questo era un rischio, perché avrei potuto perdere tutti i clienti che avevo. Ho provato ad alzare considerevolmente l’asticella della mia consulenza, al punto che ho pensato di essermi spinto troppo in alto.

La risposta sorprendente è stata che, nella maggior parte dei casi, accettavano le nuove condizioni senza neanche voler contrattare. Col tempo ho scoperto che molti dei clienti che avevo li avevo guadagnati tramite il passaparola. Erano contenti del lavoro che facevo, e parlavano bene di me ad altre aziende.

Sul capitale, come Naval Ravikant insegna, ho capito che scambiare tempo per denaro è il deal peggiore che si può fare nella vita. Fin da piccolo avevo dimostrato una spiccata propensione a capire dove sarebbe andata la tecnologia e quali aziende sarebbero state vincitori.

Nel 1999 cercai di convincere i miei genitori a investire in Google. Non era possibile, perché fece la IPO nel 2004, ma comunque non mi ascoltarono, e persero l’occasione.

Nel 2001, prima dell’uscita dell’iPod, gli dissi che Apple sarebbe esplosa, adesso che era tornato Steve Jobs al comando dell’azienda. Mi dissero che non avevamo soldi da investire.

Nel 2012, mentre ero negli States, gli scrissi che Amazon e Tesla sarebbero diventate giganti.

In tutti questi casi avevo avuto un’intuizione giusta, non perché sapessi leggere i bilanci delle aziende, o perché avessi fatto un’analisi di mercato. Non sapevo neanche cosa fosse. No, la mia intuizione era riguardo a due cose per cui ho sempre avuto una passione incontrollabile: la tecnologia e la creazione di buoni prodotti.

Steve Jobs presenta iPod nel 2001, dopo essere tornato a capo di Apple.

Con Google, avevo riconosciuto che era anni avanti alla competizione (vi ricordate Virgilio, Lycos e Altavista? Ecco, appunto).

Con Apple, stavo usando ormai da tempo un vecchio Powerbook G4 ed ero rimasto affascinato da come Steve Jobs aveva una vera e propria ossessione nel creare prodotti di altissima qualità.

Con Amazon, avevo toccato con mano quanto fossero dedicati a dare un’esperienza cliente senza pari. Il customer service che ho ricevuto quando vivevo a San Francisco era qualcosa di inaudito, mai visto una cosa del genere prima di quel momento.

Infine, con Tesla, avevo avuto la fortuna di provare a guidare una Roadster in Silicon Valley, una delle prime 1.000 auto vendute del primissimo modello dell’azienda di Elon Musk. Ho capito subito che quello era il futuro.

Quando ero piccolo e squattrinato, queste capacità di previsione erano più frustranti che utili. Sapevo dove stava andando il futuro e il mercato di conseguenza, ma non avevo le risorse per farci nulla a riguardo.

Adesso finalmente potevo iniziare a sfruttare questo mio talento per moltiplicare il capitale che stavo accumulando con i lavori insieme alle grandi aziende.

È così che ho deciso di iniziare la mia carriera da Angel Investor.

Ho messo da parte i soldi che stavo guadagnando facendo consulenza alle grandi aziende e investendo nel mercato, e ho deciso di investirli in startup.

Insomma, ho fatto una cosa che non consiglierei a nessuno. Chi mai sano di mente prenderebbe centinaia di migliaia di euro guadagnati prima di aver compiuto trent’anni per investirli in attività ad altissimo rischio che quasi certamente falliranno?

Avrei potuto comprarmi un casa, prendere una stanza al Four Season ogni weekend, andare in pensione a 32 anni spaparanzato ai Caraibi bevendo Piña Colada (peccato che non bevo) … insomma, le classiche cose che si pensa uno debba fare quando si mette a far soldi.

Forse una persona normale avrebbe fatto così. Forse avrei fatto meglio a fare così. Chi lo sa. Sicuramente sarebbe stato più prudente e “responsabile”.

Perché ho deciso di investire in startup?

Quando ho preso la decisione di diventare un Angel, ho fatto un ragionamento molto logico.

Mi piace lavorare con le startup. Penso che siano il futuro dell’economia. Non volevo continuare a fare consulenze a grandi aziende. Lavoro onesto, stimolante, ma non fa per me. Mentre lo facevo, non sentivo il fuoco dentro di me. Non avevo la sensazione di lavorare a qualcosa di nuovo ed eccitante, che avrebbe cambiato il modo in cui viviamo.

Così ho fatto questa scelta folle. Ho deciso di investire i soldi che stavo guadagnando in attività che, se tutto fosse andato bene, avrebbero dato ritorni dopo 7 o 10 anni, e che quasi certamente sarebbero fallite.

E se perdessi tutto? Se tutti i miei investimenti fallissero? Ma le startup non hanno una percentuale di insuccesso del 99%?

Certo, è possibile. È un rischio. Può sembrare roba pazzi (e forse lo è), ma solo chi è disposto a rischiare può avere un grande impatto.

C’è una frase in inglese che riassume bene questo concetto.

Entrepreneurship is living a few years of your life like most people won't, so that you can spend the rest of your life like most people can't

Parafrasando:

Essere imprenditori significa vivere qualche anno della propria vita come la maggior parte delle persone non è disposta a fare, per poter trascorrere il resto della propria vita come la maggior parte delle persone non può fare.

L’attività di Angel Investor non è una semplice questione di prendere soldi e investirli in un progetto, e certamente non significa mettere qualche migliaio di euro su una piattaforma di crowdfunding.

Essere un Angel Investor è un lavoro vero e proprio. Richiede molto tempo, a volte centinaia di ore di lavoro per ogni startup in cui si decide di investire. In alcuni casi, un Angel può essere talmente coinvolto nelle operazioni settimana per settimana da diventare quasi un membro effettivo del team.

Per me è successo proprio questo in almeno due progetti, PainQx e Comehome, due delle startup di cui sono diventato Champion. Per chi è interessato, do una breve descrizione di cosa questo significhi in questo articolo.

Per me, investire in startup non è un hobby, ma una missione di vita. Credo veramente nel poter dell’imprenditoria e nella capacità degli imprenditori di risolvere alcuni dei grandi problemi dell’umanità.

Con capitali in mano, posso finalmente diventare parte attiva del cambiamento, invece che subirlo. Significa che posso scegliere le persone e i progetti che trovo di valore, dare loro supporto, consiglio, e aiutarli a crescere.

Significa mettersi in gioco, e dimostrarlo con i fatti.

Invece che dire “voglio cambiare il mondo”, ci sto investendo la mia vita. I soldi che guadagno, il tempo che ho a disposizione, tutto.

Forse, un giorno, quando avrò figli (spero!) non sarò così audace con il mio capitale e lo dedicherò a cose più immediate e terrene, come una casa, i vestiti dei bimbi, la scuola, le vacanze insieme etc.

Ho messo anche questo in conto.

Adesso ho un’opportunità di agire e di rischiare gran parte del mio capitale. Non penso avrò mai più questo tipi di libertà nella vita.

Questa scelta forse un po’ pazza ma sicuramente coraggiosa mi ha portato a tornare a vivere e a respirare ogni giorno cosa significa lavorare con le startup. Come fanno ad innovare, come risolvono problemi costantemente.

È incredibilmente stimolante ed eccitante.

Da quasi due anni, ho deciso di rispondere alla richieste di centiaia di imprendotori e manager che mi chiedevano consiglio proprio su questo, ma in modo diverso dal passato.

Invece che offrire consulenze individuali come facevo prima, ho creato un percorso educativo e una comunità per Imprenditori Esponenziali chiamata Mavericks, nata proprio per colmare il divario che c’è tra le storie e la realtà, tra i miti e ciò che accade veramente nelle aziende a crescita rapida.

Ad oggi, Mavericks conta circa 450 membri attivi e ha un network di 1.200 alumni.

Dieci anni fa sono partito con un’idea vaga di cosa fossero le startup e del mito della Silicon Valley. Tre startup e svariate esperienze imprenditoriali dopo, mi sono reso conto che alcuni dei vecchi modi di pensare italiani non erano solo parziali, erano proprio sbagliati.

Mi sono ricreduto su cosa significhi avere successo.

Ho compreso cosa vuole dire celebrare i fallimenti per creare dei successi.

Ho capito che la strada per lavorare con le startup e diventare un Angel Investor non è unica e predeterminata: è una sorpresa costante, con opportunità che vanno colte quando si presentano.

In poche parole, ho iniziato a capire cosa significhi essere un Imprenditore Esponenziale.

Silicon Valley 3d rendering from above
Photo Credit

Title screen di Silicon Valley, in onda su HBO. Bella serie. No, non è così che funzionano veramente le startup.

Federico Pistono è autore di tre libri, tra cui il successo internazionale “I robot ti ruberanno il lavoro, ma va bene così” e “Startup Zero.0”. Le sue conferenze,  interviste e i suoi video sono stati visti da più di 10 milioni di persone in tutto il mondo.

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